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La storia del Porto di Crotone

In questo Porto si respira la storia…

Le testimonianze di un remoto passato: dagli antichi greci all’Unità d’Italia

L’origine della città di Crotone è legata alla sua posizione geografica e alla natura del luogo. Unico rifugio naturale sulla costa ionica, dopo Taranto e Messina, era il punto ideale per l’attracco delle imbarcazioni che nell’antichità costeggiavano il Mediterraneo e per l’accumulo di tutta la produzione che confluiva dai paesi dell’interno e della Sila.

La fondazione di Kroton, questo il nome originario della città, trae origine da diverse fonti storiche e mitologiche che, in ogni caso, conducono tutte agli antichi greci provenienti dall’Acaia, una regione del Peloponneso collocata sulla riva meridionale del golfo di Corinto, tra il 709 e il 708 a.C.[1]

Per identificare il luogo su cui sorgeva il porto della cittadina magno-greca, sono state avanzate disparate ipotesi: alcuni lo pongono alla foce del fiume Esaro, altri ritengono che fossero utilizzate le due rientranze ai lati dei promontori su cui sorgeva l’acropoli della città. Ma, considerata la natura del luogo e l’estensione del centro abitato, è pensabile, invece, l’esistenza di diversi punti d’attracco lungo la costa, alcuni dei quali più privilegiati.

Utilizzato da Annibale, durante la seconda guerra punica, per approvvigionarsi e comunicare con Cartagine, da qui ripartì, nel 202 a.C., per l’Africa dopo aver reso omaggio alla gloria della città achea e affidato al Santuario di Hera Lacinia il compito di ricordare le sue vicende militari in Italia[2].

Con la decadenza della civiltà  greca e con  il  restringersi dell’abitat  sullacollina dell’acropoli in periodo romano,  furono abbandonati gli altri punti d’approdo per definire meglio quello principale, sistemato in vicinanza della suddetta  collina.  È  in  questo  periodo  che,  con  lo  spostamento dell’asse commerciale sul Tirreno e sull’Adriatico, le rotte ioniche sono penalizzate, anche se Crotone, sede di un cantiere navale che utilizza il legname silano e la manodopera bruzia, resta il punto d’imbarco di numerosi prodotti dell’entroterra come: legname, pece, vino, rame e zolfo[3].

Verso la fine del V secolo d.C., a causa della conquista dell’Africa da parte dei Vandali, l’Italia fu privata dei suoi approvvigionamenti agricoli del continente nero e questo permise all’economia del Sud e specialmente all’entroterra crotonese, ricco di colture di vigneti, uliveti e cereali, di conseguire margini di guadagno. Il commercio in questione si serve del vicino porto di Crotone che permette, alle navi di maggiore stazza, di garantire i collegamenti tra le città costiere e commercializzare nell’intera area del Mediterraneo.

Al tempo di Cicerone, il porto è uno dei punti d’imbarco abituali per la Grecia, ma la sua importanza è di molto diminuita con il venir meno del ruolo economico e politico cui i greci avevano saputo dare alla città.

La contrazione dei traffici marittimi, tuttavia, non sminuì la sua importanza, soprattutto per la posizione geografica che lo designava come luogo di rifugio contro le tempeste e i venti che rendevano difficoltosa e pericolosa la navigazione dello Ionio, specialmente nel periodo invernale.

Nel 547 d.C., infatti, la flotta di Belisario, che si dirigeva dalla Sicilia verso Taranto, trovò riparo, a causa di una tempesta, nel porto di Crotone. Fu proprio per la sua posizione strategica (lungo la rotta tra la Grecia e la Sicilia) che la città, durante il periodo bizantino, diventa importante dal punto di vista militare come ultima difesa della Calabria.

Nel 1154 d.C., nel suo libro, intitolato Libro di Re Ruggero, il geografo arabo Edrisi, nel descrivere la città di Crotone, a proposito del porto scrive: «porto ampio dove si getta l’ancora al sicuro»[4].

Diminuita l’egemonia araba nel Mediterraneo, durante gli Svevi, la città diventa un punto commerciale importante, grazie all’imperatore Federico II che, nel 1239 nel quadro di potenziamento del sistema portuale del Regno, fa ricostruire i porti di Crotone e Vibo Valentia. Il nuovo scalo crotonese, infatti, rinvigorisce le casse dello Stato, per i diritti connessi alla sua attività, e permette alla città d’inserirsi tra i nodi strategici verso i commerci orientali, accresciuti dal fenomeno delle Crociate.

Nel 1259 il Re Manfredi conferma ai veneziani un contratto commerciale e lo estende anche a Ragusa e Zara, allora colonie veneziane, mentre il resto del commercio è attivato da amalfitani, pisani, genovesi, e fiorentini che imbarcano legname della Sila e diversi prodotti agricoli.

Durante il periodo Angioino, Crotone diventa uno dei luoghi più importanti d’imbarco di generi alimentari, specie cereali, e numerosi sono i provvedimenti a favore della città e dei commercianti che frequentano il porto. Quest’ultimo, infatti, è indicato, nel Compasso da Navigare (uno dei primi portolani del Mediterraneo), come «bono porto per tucti venti, ma non bono per greco»[5].

I traffici marittimi, infatti, sono fiorenti e le mercanzie imbarcate, nel porto crotonese da parte di molti operatori stranieri e locali, sono destinate ai mercati lontani come Costantinopoli e Galata[6].

Durante il periodo aragonese la vita commerciale della città è vivace, il porto viene ripristinato e guarnito di moli e tra i vecchi privilegi, che Alfonso d’Aragona conferma nel 1445 al vescovo di Crotone, ci sono quelli di dogana e d’ancoraggio. In questi anni, poi il porto, nucleo di raccolta di tutta la produzione dell’entroterra crotonese e punto d’imbarco verso i centri marittimi più importanti del Mezzogiorno, movimenta una gran quantità di merce da giustificare il bando, emanato da Alfonso nel 1458, per l’ordinamento delle attività portuali, così come per il porto di Napoli.

Attiva è la presenza dei ragusei che acquistano grano e vendono schiavi, questi ultimi utilizzati come manodopera a basso costo per ripopolare i casali, come già era successo durante il periodo bizantino, così nel 1455 questo tipo di commercio è fiorente e si costituisce a Crotone il consolato raguseo, competente per tutta la Calabria.

Divenuto maggiore centro commerciale della regione, il porto di Crotone ospita commercianti genovesi, come Gregorio Botzo, napoletani, come Gesualdo di Napoli, pugliesi, come Leone di Taranto, che venivano a commerciare ferro, legname, cereali, legumi e altri prodotti, ottenendo in cambio larghe esenzioni da parte di Alfonso. Vi sono anche veneziani, come Michele Pampino, le cui navi scaricano ferro e acciaio, fiorentini, come Giovanni di Neri Collessio (detto il Greco di Firenze), che ottiene la facoltà di estrarre 200 tratte di frumento esenti da qualsiasi diritto doganale, ragusei, catalani, ecc.

Nel 1452, Alfonso aveva concesso agli abitanti della città i privilegi di vendere direttamente e liberamente 500 tratte di frumento, utilizzando l’importo per la riparazione delle mura, e di presentarsi franchi di dogana e di fondaco per tutto il regno.

Queste esenzioni, unite al fatto di essere il maggior centro granario di produzione e di esportazione, favoriscono l’insediamento di nuove famiglie, che seguendo da vicino il reperimento e immagazzinamento del grano, si collocano nei grandi mercati in cui operano: Leonardo e Valerio (Venezia), Grimaldi (Genova), Amalfitani e Campitelli (Amalfi), Montalcini, Antinori, Baricellis e Camposacco (Firenze, Pisa), Moncada e Lopez (Spagna), Pipino (Francia).

Dopo il divieto di re Ferrante I del 1477 di esportare il grano dal proprio Stato, la destinazione prevalente del commercio granario è dunque Napoli da cui riparte verso gli altri Paesi. La nuova legislazione annonaria, infatti, vietava la concessione delle licenze di esportazione all’estero, prima di avere assicurato l’approvvigionamento della capitale.

Durante il regno di Carlo V il commercio è ancora fiorente ma, dalla seconda metà e per tutto il XVII secolo, decade il movimento commerciale del porto per la presenza dei turchi nel Mediterraneo e dall’aprirsi di nuove vie marittime oceaniche, nonostante, il sovrano, per richiesta dell’università di Crotone, fa iniziare i lavori di potenziamento dell’approdo crotonese[7].

Nel 1558 in Calabria operano solo due uffici di guardiano del porto: uno a Rossano e l’altro a Crotone, ai quali ogni bastimento che vi getta l’ancora è soggetto ad un dazio d’ancoraggio e falangaggio[8]. Si esigono, inoltre, i dazi della costruzione, pagati da coloro che imbarcano merci, e per il lanternaggio. Nel sec. XVII, difatti, il porto di Crotone, con la presenza della marina da guerra che vigila le mosse dei turchi, è importante come porto militare, più che per il commercio del grano.

Sono presenti in città mercanti siciliani, francesi, fiorentini e genovesi, questi ultimi diminuiti rispetto al passato per lasciare spazio alla concorrenza olandese. Soltanto il commercio granario resta ancora vivace e dal porto partono, nella seconda metà del secolo, numerose navi per le altre località della Calabria e del regno per fronteggiare le numerose carestie. Nel 1639 partono 7.920 ton. di cereali per Genova, nel 1654 fu compilata una concessione alla città di Reggio Calabria per importare 2.684 ton. di grano.

Nel 1658 viene stesa un’ordinanza reale per il taglio dei legnami destinati alla ricostruzione del porto e per il pagamento di coloro che vi lavorano.

Alla fine del secolo, la città di Crotone, descritta come centro marittimo-mercantile ove concorrono molte imbarcazioni specialmente per il trasporto dei grani di quasi tutta la Calabria, non ha un porto sicuro ma solo una rada, dove le operazioni di carico e scarico si fanno in inverno, quando le tempeste sono grandi e replicate.

Contemporaneamente alla costruzione del molo, si lavora per eliminare i bassi fondi e da due piante del 1765, fatte dall’Ing. Gennaro Tirone sul porto già compiuto, si vede uno scanno di sabbia che ostacola la bocca a tramontana il cui pennello, immaginato dieci anni prima dall’Ing. militare Giuseppe Laurentis per impedire l’interrimento, non è stato realizzato per tutta l’estensione progettata. L’interrimento era un effetto immediato «della collisione tra i marosi, provenienti torbidi, da Punta Alice e il movimento del mare di regresso derivante da Capo Colonna»[9].

Per ovviare a tali inconvenienti si realizzarono, prima, il prolungamento del pennello fino al molo, mediante una diversione angolare della sua originaria direzione, e dopo due nuovi pennelli di scogli dalla spiaggia verso Capo Colonna: uno poco lontano dall’entrata e l’altro a 150 canne.

Tuttavia, questi lavori non eliminarono il problema, a causa della posizione del porto, e nel 1777 la sua capacità d’ormeggio è pari ad un numero considerevole di navi mercantili, ma nessuna supera il tonnellaggio di una polacca[10].

Nonostante la città sia situata nel lido del mare, il pesce fresco scarseggia e, vista l’assenza di una flotta locale poiché gli abitanti sono inclini ad altre attività, l’intera domanda di pesce è soddisfatta solo dai pescherecci forestieri, specie pugliesi, che arrivano ad operare nello specchio di mare antistante la città.

Alla nuova ricostruzione del porto, iniziata dopo la metà del XVIII secolo, vi lavorano, ancora nel 1778, circa 400 forzati e un battaglione di soldati, manodopera questa, utilizzata pure per trasportare il materiale per la fondazione della cava del tempio di Capo Colonna. La nuova ricostruzione, tuttavia, non risolve tutti i mali che affliggono la città, legati, da una parte, alla trasformazione dei traffici e, dall’altra, alle nuove innovazioni marine. Dal 1782 al 1786, infatti, la rendita del porto è di 10.450 ducati, mentre per tenerlo in funzione se ne spendono 14.000 (somma che era destinata a crescere nel tempo), per questo che nel 1796 qualcuno propone la costruzione di un nuovo porto, in altro luogo.

Nel 1797 fu inviato a Crotone il colonnello Piscitelli (capitano idraulico) per cercare un rimedio ma, a causa delle vicende belliche del 1799, non si fece nulla[11].

Durante il periodo francese (1806-1815), il porto era costituito da:

una scogliera di Fabbrica; una scogliera di getto;

una scogliera di getto di tramontana; un pennello;

una polacca naufragata

una scogliera su cui dovrà fabbricarsi un fortino ed una lanterna.

Un nuovo tentativo fu fatto nel 1811 quando si decise di togliere i due pennelli e di costruirne uno nuovo, più distante dall’imboccatura, fondandolo con la carena di una vecchia nave, ma una mareggiata lo disperse, mentre gli altri due rimasero al loro posto.

Nel 1817 il porto di Crotone è di 3a classe e rimarrà in stato d’abbandono per parecchi anni, e a nulla valsero i tentativi, nel 1830, da parte del tenente del genio idraulico Domenico Cerviati e, nel 1832, da parte dell’Ing. di acque e strade D. Federico Bausan, di far rivivere lo scalo crotonese.

Nel 1859 vicino al porto, diventato ormai spiaggia, cominciava a formarsi il rione “Marina” in cui vi abitavano 63 persone e, sette anni dopo, lo stesso fu ufficialmente assegnato alla sorveglianza di un nostromo, che occupò il posto del capitano destinato, invece, altrove. In quel periodo, il movimento di navigazione è di 26 bastimenti a vela e di 246 navi per la navigazione a vela e a vapore di cabotaggio. Ma, le nuove vicende storiche legate alla colonizzazione del continente africano, spingono nel 1866 lo Stato italiano, che nel frattempo aveva iniziato i lavori di dragaggio, ad inserire il porto di Crotone nella seconda classe e quindi a riconsiderarlo sotto il punto di vista politico-militare[12].

Questione tra i progetti Picci e Salvati: origini del Porto Nuovo

Nel 1869, con l’apertura del Canale di Suez, il Mediterraneo è nuovamente al centro dei traffici marittimi e Crotone si ritrova proiettato nel bacino d’affare dei mari d’Occidente e le coste del Vicino Oriente. È proprio in questi anni che le navi a vapore e i grandi bastimenti s’impongono sulla tradizionale marineria a vela impegnando, di conseguenza, lo Stato in una ristrutturazione totale dei propri porti, specie quelli meridionali. Per tale ragione, nel 1872 il Ministero dei Lavori Pubblici pianifica la sistemazione definitiva del porto crotonese e da subito si manifestano al riguardo due tendenze:

  • abbandono del Porto Sud e creazione di un nuovo bacino con l’imbocco a Nord (successivamente, progetto Picci, spesa prevista 3 milioni di Lire);
  • sistemazione e ampliamento dell’esistente Porto Sud (progetto Salvati, spesa prevista 6,5 milioni di Lire).

La Commissione centrale dei porti, nelle adunanze del 2 maggio 1878 e del 7 dicembre 1879, si dichiarava nettamente favorevole alla creazione di un nuovo porto con l’imboccatura rivolta verso nord, respingendo il progetto Salvati del 20 maggio 1873, nonostante le accese proteste sia della gente di mare e sia della Camera di Commercio di Catanzaro.

In contrasto con l’attuale configurazione strutturale del Porto Nuovo, ideata dall’Ing. Picci, stava, infatti, quella dell’Ing. Capo del Genio Civile di Catanzaro L. Salvati che prevedeva, invece, l’imboccatura rivolta verso sud per facilitare le operazioni di entrata e uscita delle navi e, soprattutto, per evitare i probabili interramenti che si sarebbero manifestati per azione dei fiumi Esaro e Neto.

Il 2 luglio 1883 furono indette le gare d’appalto, alle quali però non vi aderì nessuno, poiché società e gruppi d’ingegneria, non trovando conveniente il prezzo d’asta (era molto basso), preferirono non parteciparvi. Dopo la compilazione dei progetti di massima, del 31 luglio del 1882, ed esecutivo del 15 gennaio 1883, i lavori furono consegnati, il 6 agosto 1885 da ultimarsi entro cinque anni, ad un’impresa napoletana, la Ditta Fiacca, trascurando offerte più serie e attendibili. L’impresa appaltatrice, infatti, fin da subito si dimostra non soltanto impreparata ad eseguirli, ma anche fonte di lunghe e dannose controversie[13].

Il 14 gennaio 1888, durante il rinforzamento della diga che va da terra all’attacco foraneo, la Camera di Commercio di Catanzaro, dopo un’inchiesta ed un accurato studio dell’Ing. Pecorini Manzoni, propose nuovamente la questione dell’ubicazione dell’imboccatura, esprimendo un parere contrario alla realizzazione del progetto Picci. Dal verbale del 16 dicembre 1886 redatto durante la Tornata ordinaria in 2a convocazione, in cui furono interrogati otto Capitani Marittimi di lungo corso, si legge testualmente, circa la costruzione del porto Nuovo:

[ ] le acque sovraccariche di argilla e arena, non avendo uscita, s’insaccano nel porto e in breve tempo lo colmano. [ ] se invece si desse al porto la direzione a sud, le condizioni geologiche dei terreni soprastanti, e l’assenza di fiumi da quel lato, lo garantirebbero dal pericolo d’interramento. [ ] l’interramento del vecchio porto di Crotone, avente l’imbocco a sud, non è l’effetto di depositi dei terreni soprastanti, ma è derivato dai fortunali, i quali trasportando le torbide del Neto e dell’Esaro, li gettano nel vecchio porto sorpassando la banchina di difesa dai venti di nord, la quale presenta diverse aperture lasciate senza manutenzione, e non è abbastanza protetta da completare la difesa del porto da quel lato. [ ][14].

Purtroppo, il voto non raggiunse lo scopo e, con la costruzione dell’imboccatura rivolta verso Nord, gli inconvenienti, allora temuti, non tardarono a verificarsi. Successive proteste, in occasione dell’approvazione del Piano Regolatore Portuale del 20 novembre 1906 e all’atto della redazione del nuovo progetto di massima del 27 dicembre 1911, servirono a poco ai sostenitori del progetto Salvati. Anzi una Commissione, nominata dal Ministero dei Lavori Pubblici in una relazione del 30 agosto 1912 degli ispettori Rossi e Inglese, concluse:

[ ], difficoltà d’entrata e uscita delle navi in tempo di fortunale, ricorrono per entrambi i porti, con la differenza che, derivando gli interrimenti nel porto nuovo dai corsi d’acqua in via di sistemazione (Pignataro) e di prossima sistemazione (Esaro e Neto) ed essendo quelli del porto vecchio prodotti da materie argillose e sabbiose provenienti dalle corrosioni del litorale da Crotone a Capo Colonna, ben maggiore è il processo naturale in questo secondo caso è assai più difficile il ripararvi[15].

La situazione dei due porti, descritta nella relazione degli ispettori, risultò poco veritiera, visto il maggiore interrimento a cui fu soggetto il Porto Nuovo, dopo undici anni dalla sua costruzione, rispetto al Porto Vecchio, così come, invece, scaturì dalla relazione dalla Camera di Commercio di Catanzaro del 1888.

Negli anni successivi e per interessamento del Provveditorato alle Opere Pubbliche della Calabria, furono spese notevoli somme di denaro per la costruzione di un molo all’interno del Porto Nuovo, oggi conosciuto come molo Giunti, senza però risolvere il problema degli interrimenti, e offrire definitivamente alle navi in ingresso e uscita dal porto, la necessaria sicurezza per adempiere la funzione commerciale.

Molti, poi, sono stati i progetti vagliati per la sistemazione ed il consolidamento dello stesso. L’idea, per esempio, di unire il molo Giunti al molo foraneo e dare accesso al nuovo bacino dal porto Sud (mediante taglio della diga che divide i due porti), fu subito scartata poiché impossibile sotto differenti punti di vista, quali diverse profondità dei fondali dei due bacini (9mt. del nord contro i 5mt. del sud), diversa natura dei fondali poco adatti all’escavazione e ingenti difficoltà per il taglio della diga.

Ancora, si pensò di difendere l’imbocco del porto Nuovo con una diga foranea per creare una zona di calma e permettere l’entrata alle navi e impedire, in parte, l’accumulo di materiale per opera dei fiumi. Questa soluzione non trovò molti consensi per l’imprevedibilità dell’azione d’interrimento del porto, specie dopo l’esperienza del molo Giunti (un piccolo interrimento avvenne a breve distanza dal dragaggio completo del porto).

Il porto Sud, invece, continuò ad assolvere importanti funzioni di traffico, sia per il ruolo svolto dalle colline che costituirono, così come ancora oggi, imponenti barriere alla forza dei venti dominanti e sia, contrariamente alle preoccupazioni avanzate sul progetto Salvati che causarono forti timori alle vecchie Commissioni, per il limitato interrimento rispetto al Porto Nuovo.

Il porto tra le due Guerre

Nel 1913 il traffico totale del porto, tra merci imbarcate e sbarcate, è poco inferiore alle 33 mila tonnellate, destinato, in ogni caso, a subire una pesante flessione nel periodo bellico. Durante la Prima Guerra Mondiale, infatti, lo scalo crotonese ospitò la Marina Militare e nel 1923, cinque anni dopo la fine del conflitto, il traffico si era fermato a poco meno della metà rispetto al 1913, con una diminuzione circa del 53%.

Quelli furono gli anni in cui l’economia nazionale, così come quelle di molti paesi del mondo, dopo una guerra breve ma intensa, cercava di riprendere fiato puntando soprattutto sui traffici commerciali attraverso il trasporto marittimo perché più economico sulle lunghe distanze.

La crescita non tardò a venire e, già nel 1925, il porto fece registrare le 27.753 tonnellate di merce movimentata. Era l’inizio di uno sviluppo destinato a perdurare per altri tre lustri almeno.

Negli anni che precedono la Seconda Guerra Mondiale, infatti, il movimento di merci, in continuo progresso, raggiunse cifre pari a quelle dei maggiori porti del Mezzogiorno, movimentando, nel 1928, poco più di 105 mila tonnellate con una crescita maggiore del 117%, rispetto all’anno precedente. In soli tre anni il porto di Crotone riuscì a quadruplicare la sua attività di banchina, fino a registrare nel 1932 un traffico superiore alle 252 mila tonnellate, così come si evince dalla seguente elaborazione grafica.

I dati, riferiti al movimento di merci nel porto di Crotone, nonostante le rimarchevoli deficienze, sono stati più elevati di quelli dei porti di Salerno, Civitavecchia, Taranto, Brindisi, Siracusa, Trapani, e Olbia, così come quelli riferiti alle merci in partenza[16]. Le ragioni di un incremento più che proporzionale degli ultimi cinque anni, rispetto a quelli tra il 1925 e il 1927, sono d’attribuire alla nascita dei primi stabilimenti industriali (nel 1926) e alla ripresa dei lavori di ammodernamento e potenziamento del Porto Nuovo (nel 1929)[17].

Il programma di ristrutturazione richiedeva ingenti somme di denaro e una valida garanzia che potesse legittimare un così alto investimento in un’area così piccola era la stessa che in principio convinse gli antichi Achei a colonizzare questa zona: la sua ubicazione.

Crotone, infatti, essendo al centro di una zona agricola per eccellenza conosciuta come il “Granaio della Calabria”, che si estendeva dal Fiume Nicà, confine naturale con la provincia di Cosenza, comprendendo la bassa Valle del Neto, fino a Catanzaro Marina, occupava una posizione geografica favorevole per lo sviluppo dell’intera Regione. Costituisce lo sbocco più agevole della Sila, è sulla ferrovia litoranea a metà via tra Reggio Calabria e Taranto e, da quegli anni, sede di grandi industrie in via di sviluppo. È in questo periodo che il porto si trasforma da scalo commerciale, esportatore di prodotti agricoli e agro-forestali a porto industriale.

A testimonianza di una crescita preannunciata stavano le statistiche sul traffico totale che il porto faceva registrare annualmente. La movimentazione media annua di merce nello scalo crotonese, dal 1925 sino al 1932, è di 113.379 ton., con una crescita costante del 34,17%. Sulla base dei piani di lavoro industriali, che prevedevano 90.000 tonnellate in più rispetto al 1932, e dell’incremento del commercio locale e della Sofome, è stato possibile collocare il traffico del 1933 sopra le 300 mila tonnellate[18].

Le rimarchevoli deficienze del porto, come quella relativa al raccordo delle Ferrovie dello Stato, visto come l’unica installazione capace di limitare i costi di carico e scarico, non impedirono allo scalo crotonese di competere con gli altri porti del Mezzogiorno. Crotone, difatti, seguiva Bari e Messina, eguagliava Trapani, ma superava Siracusa e Brindisi.

Nel 1933, si avvertiva l’esigenza di costituire un unico Ente per la gestione e manutenzione dell’attrezzatura portuale e quindi capace di regolarne l’uso.

Le industrie allora presenti, Meridionale Ammonia e Società Esercizio Stabilimenti Industriali, unitamente con la Ferrovia Val di Neto costituirono, per i loro fabbisogni, una società di carico e scarico.

Occorreva, invece, un ente di carattere più generale, così come esisteva già in altri porti, per esempio Messina e Salerno, dove i mezzi erano gestiti rispettivamente dalla Sezione marittima del Consiglio Provinciale dell’Economia e dalla Compagnia dei lavoratori. L’ente consorziale per la gestione dei mezzi d’opera, che doveva crearsi a Crotone, sarebbe servito a potenziare il porto provvedendo, da una parte, alle piccole manutenzioni e, dall’altra, a facilitare i traffici per le navi, le industrie e i commerci in generale.

Negli stessi anni, con la redazione del nuovo Piano Regolatore del porto, si pensò di irrobustire il molo foraneo, di costruire nuove banchine lungo i tratti del molo del porto nord e di scavare il bacino per portare i fondali a 9 mt. . I lavori appaltati nel 1934 restarono incompleti per il sopraggiungere del secondo conflitto mondiale.

La devastante mareggiata del 1940 e i numerosi bombardamenti aereo-navali, cui fu sottoposto tutto il crotonese durante la Seconda Guerra Mondiale, causarono danni notevoli al porto che, proprio in quel periodo, faceva registrare la punta record di merci movimentate complessivamente[19].

Gli effetti devastanti del secondo conflitto mondiale del XX secolo, furono avvertiti per prima dal trasporto marittimo e, così come accadde per il primo dopoguerra, nel 1945 il traffico merci nel porto ebbe una diminuzione poco più del 55%, un decremento maggiore rispetto a quello registratosi vent’anni prima. Dal 1939 al 1945, infatti, le tonnellate complessive passarono da 403.621 a 180.467.

Fortunatamente per l’economia crotonese, l’unica ragione di una così forte flessione era data dalla guerra, poiché negli anni successivi il suo porto ritornò a vivere, riprendendo la strada dello sviluppo e, già nel 1954, circa dieci anni dopo la fine del conflitto, l’ultimo aggiornamento del quadro generale delle merci, movimentate in un anno, fu circa di 302 tonnellate.

Il porto nel secondo dopoguerra

La Camera di Commercio di Catanzaro, a cura dell’Ufficio Provinciale di Statistica, nel giugno del 1955 pubblicava una relazione sui porti di Crotone e Vibo Valentia, con la quale manifestava l’esigenza di inserire nel programma generale della ripresa economica la sistemazione dei porti suddetti. Il primo perché destinato a diventare uno dei principali porti del Mediterraneo, mentre il secondo perché unico porto del litorale tirrenico calabrese.

La relazione, che sintetizzava la allora attuale situazione dei due più importanti porti catanzaresi, cercava di attirare l’attenzione dei competenti uomini di Governo e di tutti coloro che erano preposti all’amministrazione della cosa pubblica, sull’urgente assestamento dei due porti attraverso la realizzazione delle opere programmate.

I progetti, riguardanti il prolungamento del molo foraneo del porto crotonese (indispensabili per evitare la risacca che metteva in pericolo le navi all’ormeggio) e approvati il 28 settembre 1933 dalle Commissioni presso i Ministeri dei Lavori Pubblici e della Marina Mercantile dei Trasporti e Telecomunicazioni, ancora nel 1955 non erano finanziati.

In quegli stessi anni, il Porto Nuovo, dalla superficie acquea complessiva di circa mq. 200 mila, è costituito:

dal molo foraneo che misura mt. 880 di lunghezza e mt. 20 di larghezza, interamente banchinato;

Dal molo Giunti che si suddivide in tre tratti aventi le seguenti dimensioni: metri 40*70; 125*70 e 125*40.

Le banchine, sulle quali corrono i binari a scartamento ridotto delle ferrovie Val di Neto (servono esclusivamente gli stabilimenti industriali) e Mediterranea Calabro-Lucana (viene da Policastro e serve il traffico della zona agricola attraversata), permettono due accostamenti di fianco e otto di punta. I moli foraneo e Giunti sono attrezzati rispettivamente di una sola gru elettrica della portata di ton. 5 e di una di ton. 7, che comunque risultano insufficienti al fabbisogno e di manovra molto complicata.

Il porto possiede, inoltre, tre idranti, quattro magazzini di proprietà privata, quattro aree scoperte dalla superficie complessiva di mq. 13.380 capaci di contenere merci per ton. 50 mila e uno scalo di alaggio, di costruzione privata, utilizzato esclusivamente per riparare i propri galleggianti.

I fondali compresi tra mt. 7 e 9 (i moderni scali necessitano di fondali di almeno m 9,30 in media) degradano verso la banchina di levante fino a raggiungere, in alcuni punti, appena tre metri di profondità.

Il Porto Vecchio, invece, avente una superficie acquea di mq 67 mila, ha un molo foraneo di mt. 480 di lunghezza e mt. 40 di larghezza. Al suo interno ha due banchine, quella di ponente di mt. 170*25 e quella Nord di mt. 86*25 fornite di binari con scartamento ridotto, e un pontile in muratura di mt. 75*22, adatto per accosto di fianco. I fondali sono molto bassi e degradano da mt. 4 all’imboccatura, fino a mt. 1 verso terra.

L’hinterland industriale e commerciale crotonese era caratterizzato da una serie di merci, normalmente materie prime e semilavorati, d’importazione ed esportazione.

Per quanto riguarda l’afflusso, dal porto transitavano:

minerali di ferro provenienti dall’America del Sud e fosfati dall’Africa Settentrionale, destinati allo stabilimento del gruppo chimico-azoto della società Montecatini, situato in un’area attigua a nord del porto;

minerali di zinco, di rame e di altri metalli non ferrosi, diretti allo stabilimento della società Pertusola situato nella medesima area di cui sopra (più a nord di quello della Montecatini);

zolfo proveniente dalla Sicilia e destinato ai due suddetti stabilimenti; cemento destinato alle zone del Crotonese e del Cosentino;

granaglie di ogni genere per la produzione delle farine e mangimi;

Per quanto riguarda le esportazioni, il flusso di merce era costituito da:

concimi chimici, azotati, ammoniaca, acido solforico commerciale, potassa e metabisolfito prodotti dallo stabilimento Montecatini e diretti in Italia e all’Estero (America del Nord, Francia, Germania e Belgio); zinco, rame cadmio, solfato di rame e acido solforico commerciale prodotti dallo stabilimento della Pertusola e destinati all’esportazione sia nel territorio nazionale che all’Estero (principalmente in Francia); legname prodotto nelle zone silane prospicienti il Crotonese e diretto all’Estero, principalmente in Inghilterra e India.

Nel corso degli ultimi anni, gli afflussi di generi alimentari hanno indotto la società di navigazione Tirrenia ad includere Crotone come scalo di fatto della linea 33, a testimonianza che l’hinterland del porto avrebbe conseguito, di lì a poco, un incremento notevolissimo, sia in rapporto allo sviluppo agricolo-industriale-commerciale atteso e sia alla ben nota economicità dei noli marittimi rispetto a quelli terrestri.

Ogni incremento produttivo, in ogni modo, andava preceduto dalla realizzazione delle opere di potenziamento e assestamento, così come la concessione, da parte del Ministero competente, dello scalo obbligatorio della linea 33 per le navi Tirrenia. Tutto questo avrebbe permesso al porto di avvalersi dei benefici connaturati alla posizione geografica, di cui vantava, e costituire, finalmente, un centro marittimo di primaria importanza per l’Italia prima e l’Estremo Oriente poi.

Dopo la crisi degli anni ‘80, quella curva non è più salita oltre

Durante gli anni del “boom economico” italiano, grazie agli insediamenti industriali (chimica, metallurgia ed energia) Crotone, discostandosi dalla realtà calabrese, conseguiva importanti traguardi di benessere e di crescita economico-sociale. La città appariva ricca, moderna, una sorta di centro industriale del Nord, fino a quando, a partire dai primi anni ‘70, la crisi del comparto chimico nazionale e internazionale si manifestava localmente sotto forma di un vero e proprio “sciopero degli investimenti” ed in un graduale abbandono delle prospettive di rafforzamento e di rinnovamento degli impianti esistenti, già allora obsoleti.

La crisi generale che ha investito i porti nazionali, intorno agli anni ‘80, non risparmiò certo lo scalo crotonese, la cui situazione fu aggravata anche da alcuni mutamenti negli stabilimenti industriali attigui. La decisione, della Società Montecatini, di rimpiazzare le importazioni dei fosfati con quelle di acido fosforico, originariamente prodotto nello stabilimento crotonese, e la crisi contemporanea di Montedison e Pertusola, sono le ragioni di un disfacimento anticipato del porto di Crotone.

A queste, appena elencate, di carattere locale, infatti, si aggiunse la forte crisi finanziaria che investì le compagnie portuali d’Italia per la forte flessione dei traffici marittimi in tutti i porti del Paese. Si trattava cioè della seconda crisi petrolifera (1979) che, generata dalle medesime cause che videro nascere la prima nel 1973, sconvolse la struttura dei traffici marittimi di greggio, vale a dire le tensioni politico-militari del Medio Oriente, che, con l’innalzamento del prezzo del petrolio, hanno generato una forte flessione nella domanda di greggio e nei traffici ad esso dedicati[20]. La prima, infatti servì a frenare l’ascesa del commercio mondiale via mare che, iniziata intorno agli anni ‘60 ad un livello di 930 ml di tonnellate di merce movimentata, ebbe uno sviluppo circa del 250% in due lustri. La seconda invece, che seguì dopo sei anni, generò un danno meno notevole, rispetto alla prima, ma no per questo irrilevante per l’attività portuale mondiale, dal momento che dopo il picco storico del 1980 di 3.714 ml di tonnellate, il commercio marittimo fece registrare una contrazione del 17% circa[21].

Il risultato di tutto questo è un ragguardevole esubero che la portualità italiana evidenzia nella manovalanza dal peso di circa 90 miliardi di Lire, vale a dire, il passivo che il Fondo nazionale della categoria dei lavoratori portuali evidenzia nel proprio bilancio alla fine del 1982. Nel marzo dell’anno seguente il Ministero della Marina Mercantile decide, dunque, d’intervenire con un proprio disegno di legge prevedendo di erogare immediatamente al suddetto fondo 20 miliardi di Lire, un successivo prestito di 60 ed un prepensionamento di 5000 lavoratori[22].

Il problema principale, causa della situazione di spossatezza in cui vive la portualità italiana, rispetto a quella dei concorrenti europei, è dato dall’elevato numero di lavoratori portuali che, mettendo in azione un “circolo vizioso” tra le elevate tariffe portuali, che servono per liquidare i loro stipendi e la conseguente diminuzione dei traffici marittimi, rendono i porti italiani inefficienti dal punto di vista funzionale. Gli operatori del settore, infatti, privilegiano i porti del Nord-Europa, anche se fuori mano rispetto ai commerci orientali, sotto gli occhi di quelli italiani che, invece, perdono competitività per il mancato adeguamento strutturale.

Il 2 febbraio del 1984, dunque circa un anno dopo, la suddetta legge sul risanamento del Fondo nazionale, ancora, non è entrata in vigore per l’anticipata chiusura della legislatura, aggravando ulteriormente la situazione già sfavorevole dei porti italiani.

[ ] la riduzione del traffico nel porto di Crotone, accentuava questa crisi dalla quale non si sa come uscire se non si troveranno altre strade, ossia altre merci, altri lavori da fare in sostituzione delle tradizionali merci che anno dopo anno stanno conoscendo delle flessioni. [ ] [23]

Nel 1979, infatti, furono sbarcate più di un milione di tonnellate di merce, trasportate da 509 navi, e imbarcate circa 57 mila tonnellate, mentre quattro anni dopo il numero delle navi scese a 365. Da queste ultime, poi, furono sbarcate e imbarcate rispettivamente circa 883 e 172 mila tonnellate di merce con una riduzione del 15% rispetto al 1979.

La maggior parte delle merci sbarcate, costituita da oli minerali, blenda e fosforite, fu destinata rispettivamente alla centrale termoelettrica di Rossano e agli stabilimenti di Pertusola e Montecatini di Crotone, mentre la quasi totalità delle merci imbarcate proveniva da questi ultimi.

I dati, del 1983 appena espressi, non fanno altro che confermare quello che, più volte, si è sostenuto in passato circa la “industrie-dipendenza” del porto di Crotone e cioè l’assenza di una valida funzione commerciale, a fianco di quella industriale, in grado di far fronte alle insufficienze avvertite dal comparto industriale in questo periodo[24].

Non si alludeva certo al carbone, quando qualcuno scriveva che erano necessarie per il porto di Crotone altre merci, in sostituzione di quelle tradizionali, ma questo nuovo traffico, acquisito dallo scalo crotonese nel mese di settembre del 1984, congiuntamente con le esportazioni servirono senza dubbio a frenare la corsa verso la ormai evidente disfatta iniziata circa quattro anni addietro. L’acquisizione del carbone è stata resa possibile grazie ad un accordo, tra l’Ufficio del lavoro portuale di Crotone e tre cementifici della Calabria, ai quali lo stesso andava destinato, che prevedeva l’applicazione di tariffe adeguate alle navi che dovevano fare scalo a Crotone, tutte dotate di gru auto-scaricanti.

Il porto crotonese, infatti, secondo le stime dell’Agip-Carbone e della Coe-Clerici di Genova, avrebbe abbattuto alcune voci di costo nei propri bilanci, a differenza, invece, del porto di Taranto dove era doveroso ricorrere agli automezzi gommati per trasportare tutto il combustibile ai suddetti stabilimenti[25].

[ ]. Per la città di Crotone l’arrivo di questa merce via mare, quando i contratti saranno stipulati, potrà significare un movimento di navi di dodici quindici unità in più l’anno, con un quantitativo di merce sbarcata solo di poco inferiore a quella in arrivo per lo stabilimento di Pertusola Sud. [ ].

È nel gennaio del 1986, mentre la Capitaneria di Porto di Crotone elaborava i dati sul traffico merci dell’anno appena concluso, che nella sala comunale si discuteva, per la prima volta, sul tema “autostrada del mare”.

L’iniziativa, partita dall’Amministrazione comunale, riguardava l’installazione di una linea di cabotaggio tra il porto della città e quello di Ravenna da parte della società Adriatica (gruppo Finmare) con l’utilizzo di una nave ro-ro. Il passaggio dalla fattibilità del progetto alla fase operativa, era, in ogni modo, vincolato al superamento della cultura, ormai diffusa, del “padroncino”[26].

Era invece questa la tipologia di merce, che molti avrebbero voluto nel porto crotonese, rispetto a quella tradizionale, forse l’unica in grado di far fronte ad una chiusura preventivata delle fabbriche, per molti anni fonte di guadagni e ricchezze per tutti.

Il processo di trasformazione portuale, infatti, costituiva il punto di partenza per il rilancio dell’economia crotonese, prima, e di quella regionale poi con l’avvicinamento della Calabria, fino allora regione periferica, ai mercati del bacino del Mediterraneo.

Il trasporto collettivo era l’unico che poteva rendere meno onerosi i costi di trasporto e costituire, per le locali infrastrutture viarie, una sollecitazione all’ammodernamento e alla realizzazione di quelle economie di scala in grado di colmare il buco nero creatosi nell’apparato produttivo locale dalla neonata crisi.

Lo aveva capito, già allora, il sindaco Frontera, ci credeva il responsabile di marketing strategico dell’Adriatica Giancarlo Gasparon, diede la massima disponibilità l’Autorità marittima con l’applicazione di tariffe competitive, così come molti altri operatori del settore, ma la preoccupazione avanzata da D. Lucente, che intervenne a nome degli autotrasportatori, lasciò l’installazione della linea di cabotaggio nella fase di studio[27].

Due anni dopo l’organico dei lavoratori portuali di Crotone è di appena 60 lavoratori, 30 in meno rispetto al 1984 dopo l’attuazione della legge sul risanamento del Fondo nazionale di categoria. L’incremento dell’attività portuale è dovuto, secondo la Compagnia, all’aumento della produttività della stessa con l’applicazione di tariffe più concorrenziali.

I dati relativi al 1987, infatti, bloccano la lunga discesa dei traffici marittimi, sintetizzabile in cifre con una flessione del 30% circa dal 1979 al 1986, e fanno, per ora, rivivere lo scalo crotonese, soprattutto per quanto riguarda le merci imbarcate. A fronte della contrazione di 30 mila tonnellate dei prodotti d’import, giustificata dalla riduzione nelle scorte di materie prime (blenda, carbone e fosfati), sono le esportazioni che spingono l’attività portuale sulla soglia delle 938 mila tonnellate movimentate complessivamente.

Nell’ambito degli articoli imbarcati, difatti, il dato più rilevante spetta alle merci varie e al cemento di rame, seguiti dai perborati saliti e dallo zinco prodotto dalla Pertusola Sud, mentre in quello delle merci sbarcate l’unica eccezione è rappresentata dai cereali, il cui aumento dimostra l’espansione registrata dalle industrie dei concimi e dei mangimi[28]. È alla fine del 1988 che si ritorna a parlare di “via del mare” quando la Codek (Cooperativa depositi Kroton) propose un progetto d’interporto, approvato già di massima dalla Cee nel quadro dei Pim della Regione Calabria.

Il progetto prevedeva la realizzazione di un terminal container, con le relative attrezzature per la movimentazione dei carichi, ad un costo complessivo di circa 6.750 milioni di Lire, composto da un contributo pubblico pari al 75% dell’importo complessivo, a carico dei Fondi europei di sviluppo regionale.

Il tutto, mentre i lavoratori portuali si occupavano di un carico insolito per la realtà crotonese (alcuni containers destinati al trasporto di fosforo zeoliti e tpf prodotti dallo stabilimento crotonese Ausidet per l’Estremo Oriente), la società triestina Trpcovick, gestore del relativo trasporto, si convinceva, approfittando della penetrazione di Ausidet, per realizzare un terminal container e il comune di Crotone affidava ad una società d’Ingegneria specializzata la realizzazione del progetto avente la stessa tendenza[29].

Purtroppo, l’iniziativa, che avrebbe aperto nuovi sbocchi alla realtà crotonese, ancora una volta fu vanificata dall’interrimento (il tallone d’Achille del porto crotonese), che permetteva l’ormeggio solo a navi feeder e dall’assenza delle necessarie attrezzature, disposte già da qualche tempo dal Consorzio industriale per la movimentazione dei container. Si rendeva così inevitabile, da una parte, il superamento delle diseconomie dell’infrastruttura (derivanti dall’impiego di navi di piccola stazza), con fondali che permettessero, invece, a navi transhipment l’accesso in porto, e, dall’altra, corredare, a breve termine, le banchine del porto per ogni tipo di movimentazione, ivi compresa quella di container.

[ ]. L’acquisizione di nuovi traffici marittimi, senza le necessarie attrezzature, diventa difficile se non addirittura inutile. La produttività dei porti si misura nel tempo minimo, che le navi impiegano, per le operazioni di carico e scarico, ogni ritardo si ripercuote sui costi delle materie e quindi incide sul prezzo finale dei prodotti rendendoli scarsamente competitivi sui mercati interni ed internazionali [ ][30].

Gi sforzi fatti per tutto il 1987, svanirono quando nel gennaio del 1989 furono comunicati i dati del movimento merci del porto relativi all’esercizio appena concluso. Il 40% circa in meno è certamente il risultato più negativo degli ultimi dieci anni dovuto essenzialmente alla diminuzione dei prodotti sia in import e sia in export, come i perborati la cui produzione è cessata nel 1988, i mattes metalline, il cemento di rame e le merci varie.

Ma, alla fine degli anni ‘80 fino al 1992, qualcosa sembra cambiare in positivo per il porto, che regolarmente continua a svolgere la sua funzione d’indicatore dell’altalenante economia crotonese. In questo periodo, infatti, l’andamento dell’attività portuale della città seguiva quello del commercio mondiale via mare che, dopo gli shock causati dalle due grandi crisi petrolifere succitate, faceva segnare una notevole impennata che nel 1992 superava la soglia dei 4.100 ml di tonnellate movimentate complessivamente. La crescita percentuale della congiuntura marittimistica tra il 1981-1996 era del 51,7, cioè di 5,5 punti percentuali inferiori all’espansione cha ha interessato l’economia mondiale negli stessi anni[31].

L’andamento dei traffici marittimi del porto di Crotone, sempre crescente nel periodo suddetto, fece credere che la recessione produttiva di qualcuna delle grandi fabbriche, nel decennio trascorso, fosse solo il frutto di una flessione accidentale, rispetto agli accresciuti movimenti sia in entrata e sia in uscita. In quel periodo, difatti si scriveva:

[ ] tale incremento non è legato alle grandi fabbriche cittadine, tutt’altro, è legato invece, a nuove realtà imprenditoriali legate essenzialmente alle risorse locali [ ][32].

Ci si riferiva alle importazioni di grano e legname che, senza dubbio, ebbero una crescita rilevante nel 1989 rispetto agli anni precedenti, ma è altrettanto vero che tale crescita fu seguita da un più ragguardevole aumento delle merci imbarcate, circa il 114%, contro il 12% delle prime tra il 1991 ed il 1992. In quest’ultimo anno, infatti, furono movimentate in partenza più di 303 mila tonnellate, un record storico per il Porto Nuovo che non ricorda, dalla sua costruzione, un dato così rilevante per le esportazioni. Ancora una volta, le materie prime sbarcate e le produzioni delle grandi fabbriche reggono la loro giusta importanza nella portualità crotonese, smantellando le speranze di coloro che confidavano nelle capacità del porto di tollerare, senza segni di cedimento, una futura e più disastrosa recessione industriale.

Fu, infatti, grazie ai dati positivi, emergenti dallo stretto ambito della produttività delle grandi fabbriche, che lo scalo crotonese riuscì nuovamente superare la soglia del milione di tonnellate di merci movimentate complessivamente nel solo 1992.

A legittimazione di quanto appena affermato, concorrono i dati, relativi alle merci imbarcate e sbarcate, del 1993 che evidenziano «una caduta che ha il suo picco più alto nel comparto industriale»[33].

Il risultato è il 40% di traffico in meno rispetto all’anno precedente, che fa rivivere, agli esperti del settore, quei giorni del non lontano 1989, quando si pensava alla disfatta imminente del porto, con l’unica variante che, da questo momento in poi la portualità crotonese non evidenzierà più un sostanziale sviluppo.

[ ]; di certo si può affermare che più cala il lavoro portuale e più la città arretra, senza contare che quando si arriva ad una certa soglia diventa addirittura ineluttabile la “cancellazione” dello scalo dalle rotte, perché i costi lievitano oltre misura e nemmeno le attrezzature possono operare in termini convenienti. [ ]. Attrezzature che ancora oggi continuano a rimanere ferme in preda ai ladri ed ai vandali e che nessuno vuole più in gestione perché non è più un affare, essendo crollato il movimento portuale, [ ][34]

È stata una lunga agonia quella del porto che, dopo aver sostato con i propri movimenti merceologici sopra le 500 mila tonnellate per circa quattro anni, ha continuato a scivolare verso il baratro del fallimento fino ad oggi, assistito contemporaneamente da quello delle fabbriche, le uniche in grado di trascinarsi dietro le attività commerciali. Appare irrilevante, a questo punto, analizzare disgiuntamente il trend delle esportazioni e delle importazioni degli anni successivi per capirne le ragioni di una crisi che, iniziata negli anni ‘80, è stata fatale per Crotone.

Dal 1994 fino al 1998, infatti, l’andamento stazionario dell’attività portuale, sopra le 500 mila tonnellate sbarcate ed imbarcate, faceva credere agli addetti ai lavori che i numeri del porto, anche a termine della crisi industriale, non potessero scendere sotto quella determinata soglia. L’illusione durò appena un anno poiché già nel 1999 il movimento merci faceva registrare una contrazione del 48,4%, avvenuta essenzialmente in tutti i comparti, ma che ha interessato soprattutto le rinfuse liquide imbarcate, che diminuirono sorprendentemente del 94%.

Questo modo di pensare ha distolto i colletti bianchi, che non hanno fatto molto per limitare i possibili danni, per esempio, ricorrendo a nuovi traffici, dopo gli opportuni adeguamenti strutturali e non lasciare che la “via del mare” restasse solo sulla carta. Ha avuto la stessa sorte l’iniziativa della Codek di realizzare un terminal container nel 1988, l’installazione, da parte della società Adriatica, di una linea di cabotaggio con il porto di Ravenna nel 1986 e con quello di Venezia nel 1995, di inserire Crotone in una linea di traghetti merci-passeggeri da e per la Grecia ovvero quella dell’Ausimar per quanto riguarda la rotta delle crociere del Mediterraneo nello stesso anno[35].

È così, in un secolo circa, lo scalo crotonese diventa protagonista della nascita e scomparsa dei tre grandi stabilimenti industriali: nel primo dopoguerra, dove la sua esistenza ed un minimo grado d’efficienza bastano a dare avvio ad una fase d’industrializzazione, e alla fine degli anni ‘80, quando di fronte alla sua portualità ormai obsoleta prende piede, invece, una fase di delocalizzazione delle attività industriali.

Oggi, il millenario porto, si trova davanti la sfida della riorganizzazione post-industriale con nuovi ampi spazi per il turismo, la cantieristica, la crocieristica, il grande diporto, la pesca, ma con molte problematiche immutate dal passato (dragaggio e interramento, gestione e pubbliche amministrazioni) ed un nuovo Piano Regolatore portuale d’imminente redazione che si spera questa volta, dopo due secoli di diatribe, possa ridare al territorio crotonese il ruolo che merita nel Mediterraneo.

Si ringrazia per questo studio Domenico Carvelli

NOTE

[1] La tradizione storica attribuisce il ruolo di fondatore di Crotone all’acheo Myskellos (Miscello) di Rhype (villaggio della montuosa Acaia in Grecia) appartenente ad una nobile famiglia del luogo. Il giovane, recatosi al santuario di Delfi per consultare la Pizia sull’avvenire della sua stirpe, ricevette dall’oracolo le indicazioni sul luogo dove fondare la città, ossia in una bella pianura dall’aria mite e salubre. Durante il suo viaggio, lungo le coste ioniche, Myskellos, attratto dal territorio intorno a Sibari, si fermò con l’intento di fondare lì la sua città, ma fu subito invitato a ripartire e proseguire il suo viaggio verso sud, fino alla foce del fiume Neto, dove poté obbedire all’oracolo e fondare la città di Crotone. Ancor più suggestivo è invece il racconto di Diodoro Suculo (storico vissuto tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C.) che scrive della presenza di Eracle in queste zone. L’eroe durante un viaggio di ritorno dall’Iberia con una mandria di buoi, approdò nelle vicinanze di un promontorio denominato Lacinio, dove un ladrone dallo stesso nome razziava in quelle contrade. Costui, una notte, decise di rubare alcuni buoi ad Eracle che accortosi del furto lo assalì. Per sbaglio l’eroe uccise anche Kroton, l’amico presso il quale era ospite e, addolorato per ciò che era successo, gli dedicò uno splendido monumento funebre. Egli inoltre partendo predisse la fondazione di una città che avrebbe tratto il nome da Kroton e che sarebbe divenuta famosa in tutto il mondo. Secondo un’altra leggenda, Crotone sarebbe stata fondata dai guerrieri Achei che, di ritorno dalla guerra di Troia con le donne troiane, come bottino di guerra, sbarcarono nei pressi della foce del fiume Neto. Le donne, in assenza dei guerrieri e desiderose di porre fine alle lunghe persecuzioni, incendiarono le loro navi (proprio dalla parola greca “Néaithos”, che vuol dire “navi incendiate”, deriverebbe il nome del fiume Neto). In seguito a questi eventi, gli uomini furono costretti ad insediarsi nella regione ricca e fertile.

[2] Del santuario (tempio in stile dorico di 48 colonne e consacrato al culto della dea greca Hera), che sorgeva a 6 miglia dalla città sulla spianata del Lacinio, oggi esiste una sola colonna superstite che si trova all’estrema punta di Capo Colonna.

[3] Le numerose anfore ritrovate al largo delle coste crotonesi, da Capo Colonna a Punta Alice, sono una testimonianza di questo vasto movimento commerciale.

[4] Edrisi scrisse il suo testo geografico per incarico del re Ruggero. In seguito la lettura venne allargata per merito di M. Amari e di C. Schiaparelli con la pubblicazione di una traduzione italiana dal titolo: L’Italia descritta nel Libro di Re Ruggero compilato da Edrisi. Successivamente Norman Douglas, nel suo libro Vecchia Calabria, scrive del «vasto porto per l’ancoraggio delle navi». Gustavo Valente, Marina e Porto di Crotone nei secoli XVI-XIX, Imbarchi-Controversie-Naufragi, Vincenzo Ursini Editori, Catanzaro 1989, pp. 7-8.

[5] Ivi, p. 8.

[6] Le merci esportate sono costituite dalla tipica produzione rurale calabrese: legname, salumi e bestiame da macello della Sila e vino, olio, cereali, fichi, zucchero e prodotti armentizi del Marchesato.

[7] Con la scoperta dell’America, 12 ottobre 1492, il Mediterraneo perde la sua, fino ad allora indiscussa, centralità rispetto ai traffici marittimi.

[8] Termine derivato dall’antico latino phalanga che significa “palo”, nel tardo Medioevo era utilizzato per indicare un tributo che si pagava nel Napoletano ai fini di piantare sulla riva del mare o dei fiumi pali ai quali ormeggiare le navi o anche per potersi avvalere di quelli già piantati.

[9] Carmelo G. Severino, Le città nella storia d’Italia – Crotone, Editori Laterza, Bari 1988, p. 63.

[10] Veliero mercantile diffuso nel Mediterraneo sino al secolo XIX a velatura mista disposta su tre alberi (quello di trinchetto a vela latina, quello di maestra e quello di mezzana a vele quadre e, inferiormente con vela latina o vela di randa), dalla fine del secolo XVII portò gli alberi di un sol pezzo senza coffa né crocetta, caratteristica che contraddistingue l’attrezzatura alla “polacca”.

[11] Il 3 febbraio 1799 a Crotone viene proclamata la Repubblica da parte di una società segreta appoggiata dal ceto medio. Il 18 e 19 marzo ci fu la presa della città da parte delle truppe sanfediste del cardinale Ruffo che pongono fine al movimento giacobino. Il 3 aprile il tutto finisce in un bagno di sangue con la fucilazione dei quattro capi riconosciuti del movimento. Ivi, p. 68.

[12] Alla seconda categoria appartenevano tutti i porti che interessavano la sicurezza della navigazione generale con le spese a carico dello Stato. Ivi, p. 85.

[13] «La vicenda si concluderà con una realizzazione parziale dei lavori e un costo per l’erario di oltre 6 milioni, più del doppio rispetto a quanto previsto». Ivi, p. 89.

[14]Camera di commercio Industria e Artigianato di Catanzaro, Deliberazione e relazione tecnica intoro al progetto adottato dal Governo per il porto di Crotone, Catanzaro 1888.

[15] Unione Industriale Fascista della Provincia di Catanzaro, Il Porto di Crotone, Appunti dell’Ing. Ruggero Pugliese, Catanzaro 1933, pp. 8-9.

[16] Il movimento delle merci in partenza era costituito da prodotti esclusivamente locali, non esistendo, in Crotone, alcun commercio di transito.

[17] Nel 1916, grazie ad un decreto, si avvia un importante processo di industrializzazione con l’installazione della centrale elettrica Timpa Grande in Sila. L’energia elettrica, da quest’ultima prodotta, permette successivamente l’insediamento a Crotone di uno stabilimento elettro-metallurgico, la SESI del gruppo Pertusola, per la produzione dello zinco. Nello stesso tempo si colloca, nella medesima area, lo stabilimento chimico della Società Ammonia, del gruppo Montecatini, per la produzione di concimi e fertilizzanti azotati per l’agricoltura.

[18] Una siffatta previsione fu giustificata dal raddoppio degli impianti superfosfati e dalla creazione del reparto nitrato di soda della Meridionale Ammonia, gruppo Montecatini.

[19] Nel 1939, in porto si movimentano 403.621 tonnellate di merci, dato sorprendentemente superiore a quello registrato da tutti i porti meridionali della penisola, ad eccezione di quello di Napoli.

[20] L. Fadda, Cambiamento e valore nell’economia delle Imprese di shipping, Giappichelli Editore, Torino 2000, p. 92.

[21] R. Midoro, Dispense Egit I,  Unige  a.a 2003/2004, p. 3.

[22] A Crotone il prepensionamento riguardò 30 lavoratori sul totale di 120, necessario per portare a 12 la media mensile delle giornate lavorative, sotto, cioè, il limite di produttività che è di 15 giornate. D. Napolitano, I lavoratori portuali senza paga, in «Il Crotonese», IV-9, 1983, pp. 1-2.

[23] D. Napolitano, Appena una nave al giorno in un porto sempre più grande, in «Il Crotonese», V-4, 1984, p.

[24] Per funzione industriale si intende quell’attività di terminale le cui operazioni portuali, svolgendosi al servizio di un complesso industriale situato sulla banchina ovvero in posizione adiacente a quest’ultima, sono inserite nel ciclo produttivo del complesso industriale. U. Marchese, Lineamenti e problemi di economia dei trasporti, Ecig, Genova 1997, cit. def. p. 35.

[25]Il carbone, proveniente dall’Africa e trasportato presso un deposito sito in località Passovecchio (Crotone) gestito dalla società genovese, era destinato ai cementifici di Catanzaro, Vibo Valentia e Castrovillari.

[26] «A fronte di un parco di 400 unità ne rimarrebbe uno di altrettanti semirimorchi, con meno di un centinaio di

trattori». D. Napolitano, Autostrade del mare al servizio dei trasporti, in «Il Crotonese», VII-2, 1986, p. 3.

[27] Ivi, pp. 1,3.

[28] D. Napolitano, Sono aumentati i trasporti via mare, in «Il Crotonese», IX-3, 1988, p. 5.

[29] Città di Crotone, Sistema portuale crotonese, 1989.

[30] D. Napolitano, Verso l’Oriente e Progetto interporto e ritorna la via del mare, in «Il Crotonese», IX-40;41, Crotone 1988, p. 3; p. 5.

[31] R. Minoro, Le strategie degli operatori trasportistici globali, Ecig 1997, pp. 32-33.

[32] D. Napolitano, Tutto il porto in cifre, in «Il Crotonese», XI-3, 1990, p. 5.

[33] D. Napolitano, Il porto cola a picco, in «Il Crotonese», XV-4, 1994, p. 1.

[34] Ivi, p. 7.

[35] L’idea di inserire Crotone in un itinerario crocieristico non era certo una iniziativa nuova per il suo porto, visto che il 18 settembre 1981 approdò la motonave passeggeri, la Regina Mars, in crociera nei luoghi dell’antica civiltà Magno-greca. Ma quella non fu la prima, poiché nel 1976 un’altra motonave passeggeri, l’Itaca, fece rotta, per la prima volta nella storia del porto, su Crotone. Queste, in ogni caso, restarono due occasioni isolate. D. Napolitano, Nave passeggeri a Crotone, in «Il Crotonese», 1981, p. 4.

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